Mi perdonerete se non parlo della lettera di Vito Ciancimino a Silvio Berlusconi mostrata ieri nell'aula del tribunale di Palermo. Del resto son cose che i nostri lettori sanno già. Le abbiamo dette e documentate fino allo sfinimento, le analisi di Saverio Lodato e le cronache di Nicola Biondo le hanno per settimane e per mesi anticipate, dettagliate, spiegate su queste pagine. «Forza Italia nacque dalla trattativa fra Stato e Mafia», dice coi suoi occhialetti tondi Ciancimino jr ai microfoni, carte alla mano legge le lettere del padre. Grazie della chiarezza, qualcosa ci era parso di intuire. «È un agguato», urla il ministro di Giustizia. Incredibile: sembrava una deposizione in tribunale. Grazie anche ad Alfano, comunque, per la rassicurante prevedibilità della reazione. Niente paura, è un agguato. Poi Dell'Utri, quello che «Mangano è un eroe»: Ciancimino è folle, s'indigna offeso.
Ecco, di questo preferirei parlare. Dei folli. Di chi siano i matti in questa Italia disperata, se quelli che resistono e per esempio continuano a insegnare musica a scuola, quelli che si credono Napoleone e vivono come Sultani, quelli che vanno sui tetti, quelli che si spogliano in tv, quelli invisibili che dovevano raccogliere pomodori e finisce che fanno la rivoluzione. Del sollievo che procura il fatto che cinque milioni e mezzo di italiani abbiano visto su RaiUno «La città dei matti», il film sulla vita e sul lavoro di Franco Basaglia. Di quanto ci manca, in questo buio, lo sguardo di Basaglia. E poi pazienza se era troppo presto, se non siamo stati capaci, se non abbiamo capito o abbiamo fatto finta, se sembra che alla fine siamo tornati indietro. Ecco, no. Indietro non si può tornare più: anche questo dicono i cinque milioni e mezzo che sono rimasti alla tv a vedere cosa facevano prima di Basaglia ai matti di Gorizia e di Trieste, che poi si dice matti ma bisognerebbe chiamarli per nome uno per uno come si dovrebbe fare con gli immigrati, i clandestini, i bimbi stranieri quelli che Gelmini vuol mettere le quote nelle classi, il tetto perché non siano troppi che poi disturbano la didattica, non sia mai che qualcuno sospetti che possiamo imparare noi da loro. Dai bambini venuti da Benin e dal Marocco coi loro sorrisi, abbiamo oggi un servizio sulla elementare di Roma che ne ospita una moltitudine: «Il mondo è nella mia scuola», dice il calendario che hanno fatto, guardate le foto. Le categorie non rendono mai l'idea delle persone che ci stanno dentro. Persone, vite, occhi. Quello che ieri succedeva agli orfani di guerra e alle ragazze ribelli, chiusi in manicomio perché deboli, fragili, malati certo alcuni, malati davvero e da curare ma non per questo da incatenare buttare in mare chiudere a chiave in un immondezzaio, ecco quello che allora succedeva a Gorizia oggi succede a Bari nei centri accoglienza, a Rosarno nei campi, nelle stazioni dove i ragazzi per divertimento bruciano gli indiani sulle panchine. Meno Bossi e più Basaglia, pensate che sogno. Meno ronde e più sorrisi. Meno violenza e più pensiero. Meno lager più asili. Meno celle più ospedali. Meno urla roche, più occhi limpidi che vedono il futuro e sanno farlo vedere, con fatica e con dolore, anche a chi non sa guardare. Pazienza per gli errori, quelli per strada si correggono. È lo sguardo - è quello sguardo - che manca.
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